Da alcune settimane iniziano ad arrivare, finalmente, alcune notizie positive per la nostra economia e per il lavoro. Proprio oggi il Ministero del Lavoro ha reso noti i dati delle assunzioni del mese di Marzo (primo mese di applicazione del Jobs Act), registrando 641 mila attivazioni a fronte di 549 mila cessazioni, con una forte crescita dell’’incidenza dei contratti a tempo indeterminato, dl 17,5% al 25,3%. Mentre pochi giorni fa la CNA, a seguito di una indgine su un campione di 20,500 piccole medie imprese, ha rilevato una crescita dell’8,5% delle assunzioni rispetto all’anno scorso.
Non solo.
Il Bollettino di Marzo della Banca d’Italia evidenzia una leggera ripresa dei consumi, mentre quello di Aprile parla di un miglioramento della fiducia delle imprese, degli investimenti nell’ultimo trimestre del 2014, delle prospettive occupazionali aperte dal jobs act congiunto agli sgravi e di una spinta al PIL di oltre un punto legata al quantitative easing di Draghi.
Mentre ieri l’ISTAT ha comunicato che il fatturato dell’industria a Febbraio ha segnato un +0.4% rispetto a Gennaio (ma complessivamente ancora negativo rispetto ad un anno fa), trainato soprattutto dall’export che è cresciuto dello 0,6% su base mensile e dello 0,8% su base annua. In progresso anche gli ordini che sono cresciuti dello 0.8% su febbraio e del 2% su base annua. Ancora più interessante notare che il settore che ha marcato il risultato più positivo è quello dell’auto, un settore che fino a due-tre anni fa in Italia tutti davano per morto e sepolto, e che invece a Febbraio ha avuto un miglioramento del fatturato del 32,6% e degli ordinativi del 33% rispetto a Febbraio dell’anno scorso.
Personalmente non amo i trionfalismi né le conclusioni affrettate – i segnali positivi sono ancora molto deboli, permangono a mio avviso ancora molte nostre debolezze strutturali su cui occorre mettere mano e ritengo che sia ridicolo cercare di fare bilanci e trarre conclusioni sul jobs act in gazzetta ufficiali un mese e mezzo fa e ancora in via di attuazione. Tuttavia mi sembra che qualcosa si stia muovendo, e che pian piano si stiano creando delle condizioni per poter sfruttare al meglio il miglioramento delle condizioni economiche internazionali.
Non scordiamoci infatti che per quanto Draghi possa intervenire sulla moneta o per quanto il prezzo del petrolio possa scendere, se l’Italia non si riforma profondamente non sarà in grado di cogliere queste opportunità e trasformarle in occasioni di crescita stabile e sostenibile – cosi come non ci è riuscita negli ultimi venti anni, in cui invece le occasioni positive sono state trasformate in opportunità per aggravare spesa pubblica e debito. Quindi direi prudenza e attenzione, ma determinazione ed ottimismo nel portare avanti le riforme che sono state avviate, lanciandone subito altre che ancora non sono state affrontate (penso soprattutto a liberalizzazioni, alla revisione degli incentivi alle imprese, ad alcuni aspetti del welfare e della revisione della spesa). Ci sono tutte le condizioni affinché queste riforme producano effetti rapidi e benefici per il nostro Paese, basta non fermarsi a metà del guado.